il perfetto sodalizio tra luce e ombra
Intervista di Eleonora Helbones
Chi opera nel campo
dell’arte sa che la propria ricerca non si ferma mai, questo percorso inizia nello sviluppare un proprio stile e nel confermare il messaggio che si vuole proporre attraverso il lavoro finale.
La vita di un disegnatore è un continuo divenire così cita
l’artista che ho avuto il piacere di intervistare Vlad ov Thelema dove in
questa frase racchiude egregiamente il concetto che ho citato in apertura.
Il suo percorso artistico ha inizio dalle sue passioni e ispirazioni legate al
mondo del fantasy e del metal, passando dai lavori di Luis Royo al grande
maestro Hans Ruedi Giger.
Nei suoi lavori il nero plasma e dà vita ai soggetti che tatua senza mai
sottovalutare l’importanza del bianco, che scrupolosamente utilizza per
esaltare i punti luce e renderli vibranti, dargli movimento e profondità;
perché in fondo, citando Vlad, non ci
sono tenebre senza luce.
Ciao Vladimir e benvenuto su Stigmazine! Raccontaci
di te e quando è iniziato il tuo percorso artistico e cosa ti ha spinto a
tatuare.
Raccontare di me non mi è facile.
Alla fine, sono semplicemente un illustratore, il culo incollato a una
scrivania, matita alla mano e diversi fogli scarabocchiati con progetti che non
vedranno mai una fine.
Non che non mi piaccia portare a termine i progetti, ma penso che ogni
illustratore abbia idee diverse ogni giorno, ispirazione ogni giorno: molti
progetti, molte bozze, cose che ci sembrano geniali finché la matita arriva sul
foglio segnando quello che invece si rivela poi un aborto annunciato.
È ironico in effetti, ciò che ho appena scritto riassume il novanta per cento
della mia vita, un disegno non ancora terminato con un sacco di errori e
sbavature e segni di una gomma quantomeno simbolica, a ricordarmi che ripeterei
tutto, anche gli errori più minimi.
Sarà da codardi, o da stupidi, ma non credo cambierei nulla del mio passato, potremmo
non essere qui a parlarne dopo tutto.

A chi o cosa t’ ispiri nei tuoi lavori?
Sono riuscito a parlarti della mia vita senza dire in effetti nulla, ma questa
volta, non posso esimermi.
La domanda è molto specifica e, in effetti, non voglio dare risposte ipocrite e
articolate per far trasparire una malinconia poetica e perbenista, regalandomi
il titolo di chi lavora su temi cupi a scopo di dar vita ad una critica morale
banale e sempliciotta.
La vita di un disegnatore è un continuo divenire, ciò che prima avevamo solo
sui libri, si è poco a poco espanso su un internet primordiale per poi sfociare
senza limiti nella grande vasca dei social visivi come Instagram e Pinterest.
Ho iniziato come ogni buon ragazzino attratto dal fantasy e dal metal,
prendendo spunto dai lavori di Royo, praticamente onnipresente sulle copertine
di «Laciostory», sui lavori grezzi e violenti di Simon Bisley, a cui tuttora
guardo spesso, fino al più scontato dei miei miti Hans Ruedi Giger.
Ma si parla appunto di avere sistemi e mezzi ancora rudimentali. Su Internet
trovavi solo quello che intenzionalmente cercavi, salvo finire in qualche forum
dove, forse, per caso, magari, sarebbe uscito il nome di qualche altro artista
ad hoc.
Crescendo è andato di pari passo anche il web, fornendomi una banca dati
decisamente più succulenta e facile da esplorare.
Pinterest negli ultimi anni mi ha indicato grandi nomi dell’arte moderna come
Katsuya Terada o Takato Yamamoto.
Sempre grazie ai social ho
avuto modo di conoscere altri artisti di grande ispirazione come Aaron Horkey,
Allen Williams o Roberto Ferri; la cosa bella è proprio questa: non esiste un
vero limite grazie a questo sistema, potrei citarne davvero tanti e i pochi che
ho elencato sono solo la punta del cono gelato, piantato sulla cima di un
iceberg.
Sarebbe ingiusto però non riconoscere ai fumetti la loro parte in tutto questo.
Miura è stato ed è tuttora la mia più grande ispirazione, soprattutto per il
forte legame col tipo di illustrazione che cerco di portare su carta e pelle.
Non sono un gran lettore di fumetti purtroppo, men che meno il fumetto
giapponese, fatta eccezione di Berserk, nella mia libreria troverete davvero
pochi altri nomi, frutto più di leggere infatuazioni adolescenziali che non di
vera e proprio stima a livello artistico.
Inutile poi citare la parte più banale, i media visivi, film, cartoni e
videogiochi.
Chiunque voglia lavorare in questo campi dovrebbe ritagliarsi un po’ di tempo
durante la giornata e dedicarlo ad almeno uno di questi.
Artisticamente parlando, la FromSoftware la fa da padrone.
Gli ultimi lavori, mi riferisco alla famosa serie dei Souls (Bloodborne compreso), sono un orgasmo visivo, una lavorazione al dettaglio di ambienti, mostri e culture amalgamate insieme in un realismo noir che lascia addosso un senso di angoscia onnipresente,anche l’immagine più solare ha quel “qualcosa” che la rende tetra.
Una situazione fantastica che vorrei sempre riuscire a portare con l’uso dell’inchiostro.

Fintanto che mi danno carta bianca a livello stilistico, posso lavorare con serenità a qualsiasi cosa.
Credo sia proprio questo il bello di riuscire a proporre uno stile proprio, non legato a soggetti specifici.
Piuttosto, ho soggetti che trovo davvero inconcludente tatuare o disegnare, ad esempio le automobili, le moto, i veicoli in generale non sono esattamente alla mia portata, ma certo, sempre meglio del classico maori da “faccio brutto”.
Il colore nero è stato in assoluto la tua prima scelta stilistica o hai sperimentato altro? Quanto è importante l’uso del nero per te e che valore gli attribuisci?
Questo mi porta ben
indietro.
Vivo in una cittadina non molto grande, fa provincia ma sai, fa quello e basta.
La realtà che ne consegue è un tipo di tatuaggio e tatuatore molto commerciale,
la classica battuta della stampante ad ossigeno insomma.
Nessuno ha un vero stile suo, ci si fa guerra su picchi di abilità
relativamente mediocri e tutti fanno un po’ di tutto.
Questo ti porta a dover, e forse poter, sperimentare diverse cose, ma è anche
molto deleterio se non ne esci.
In questo devo ringraziare chi mi ha fatto uscire da quella realtà, mi ha
mostrato un mondo del tatuaggio più ampio e più legato al tatuatore e meno al
tatuaggio.
Ho conosciuto così Emiliano,
il buon Chivo, tatuatore torinese, ha dato il via alla mia passione per il blackwork e la deriva che poi ha preso
tra le mie mani.
Grazie a lui ho conosciuto un mondo del tatuaggio completamente diverso, un
mondo dove la gente viaggia per conoscere e farsi tatuare dalla mano che
davvero apprezza.
Così ho iniziato il viaggio vero, tre anni in ritardo ormai.
Ho faticato parecchio, venendo
e vivendo in una realtà molto commerciale, proporre lavori miei è stato subito
faticoso e difficile, la gente non si fidava e voleva la copia carbone di ciò
che Internet concedeva.
Sono passato per il colore, il neo
traditional, l’old school, il
realismo e l’ornamentale. Ho sperimentato molto, ma alla fine ciò che era su
carta aveva sempre alcuni denominatori comuni che mi hanno portato a quello che
ora è il mio stile.
Non che ora stia fermo però, cerco sempre di sperimentare qualcosa di nuovo, sempre
partendo dal blackwork, cercando di
portare variazioni e anomalie, non viste sempre bene, ovvio, ma comunque mie.
Migliorare mi ha consentito di viaggiare; viaggiare di conoscere molti artisti
che stimo e apprezzo, dai quali ho potuto portare molta acqua al mio mulino.
Il nero è mio compagno da sempre ormai, ma quale tatuatore può dire
diversamente?
Il bianco è il mio vero asso nella manica.
Non ci sono tenebre senza luce ed è su questo che voglio giocare.